Di Aristide Fiore
"Intonaco romano", 1964: olio su faesite. |
La luce dei cieli dorati e dei
tramonti infuocati di Roma, la quiete di paesaggi marini ancora
incontaminati sono temi cari al pittore-violinista ternano Carlo
Quaglia (1903-1970). Vengono ora riproposti a Salerno, fino a sabato
10 maggio 2014, presso la galleria Il Catalogo di Lelio Schiavone e
Antonio Adiletta, in un'interessante retrospettiva, curata in
collaborazione con l'Archivio Carlo Quaglia, che comprende circa
trenta opere tra olii e disegni.
Nella ricca gamma cromatica,
sempre ben accordata, e nella magia dell'atmosfera, calma e
misteriosa, resa mediante ampie e morbide pennellate, si riconosce la
lezione di quella Scuola romana fondata da Mario Mafai, Antonietta
Raphaël,
"Scipione" (Gino Bonichi) Fausto Pirandello
e altri, la quale contrappose il
carattere espressionista che accomunava i suoi esponenti al
neoclassicismo in voga nell'Italia del primo dopoguerra e, grazie
all'apporto di nuove leve, estese la sua attività fino al secondo,
epoca in cui prese le mosse la tardiva ma significativa carriera di
Quaglia, dopo i primi esperimenti condotti durante la prigionia in
India,
alle pendici dell‘Himalaya.
Nel farsi artista, dunque,
da estimatore d'arte contemporanea quale
era, Quaglia imparò a dosare gli intensi rossi scipioneschi, l'amore
per le borgate e le periferie di Mafai, le suggestioni chagalliane di
Raphaël
e
così via
nella costruzione del proprio linguaggio. Ciò che ne risulta non è
la descrizione o la narrazione di quanto l'artista vide, ma
l'emozione che quella tal cosa o il ricordo di essa suscitò in lui,
trasposta nel colore: un colore spesso disposto per campiture,
ciascuna delle quali è naturalmente individuata da una dominante
cromatica, ma vibra per la fitta gamma di sfumature, restituendo allo
sguardo la vividezza del contesto reale. Questi scenari urbani e
rivieraschi, volutamente sgombri di presenze umane, che in genere
vengono tutt'al più evocate nella rappresentazione di sculture o
altri ornamenti di auguste dimore, sembrano pensati per essere
abitati dall'anima: quella dell'artista, in primo luogo, il quale
forse trovò più volte un sicuro rifugio, soprattutto nei momenti
più drammatici della sua esistenza, prima nelle opere altrui, poi
nelle proprie.
"Riviera ligure", 1950: olio su carta. |
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